
Il primo saluto carico di affetto e riconoscenza lo voglio rivolgere a Monica e a tutta la famiglia che ha amato e voluto bene ad Andrea.
Saluto don Paolo, il Comandante della stazione dei carabinieri di Orbassano Francesco Paoletti, che per la prima volta partecipa come comandante della Stazione intitolata proprio ad Andrea, saluto ancora gli assessori, il Presidente del Consiglio Comunale, i consiglieri, le associazioni che ogni anno si riuniscono insieme a noi in questa giornata e tutti voi che avete voluto partecipare anche quest’anno a questo nostro appuntamento.
Un appuntamento che ha il carattere istituzionale di ricordo del sacrificio dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, ma che per noi ogni anni ci consente di stringerci intorno ad una famiglia che a Tetti è nata, cresciuta e che conserva ancora saldo e forte il loro legame.
Venti anni comincia ad essere un tempo lungo.
Se ci chiedessero, in un altro giorno dell’anno, cosa ricordiamo del 2003 in pochi, in tutta onestà anche qui, penseremmo alla strage di Nassiriya, al sacrificio di 19 italiani: 12 carabinieri, 5 militari dell’esercito e 2 civili. In pochi pensiamo alle vite spezzate, alle famiglie distrutte, ai sogni e ai progetti di 19 uomini.
È così, è la storia, è la vita che per fortuna va avanti.
Chiunque di noi ha avuto un lutto, un dolore profondo sa che da un certo punto in poi questo resta solo suo e con lui dovrà fare i conti quotidianemente.
Questo è vero solo in parte per Andrea, perché quello che è certo è che questa comunità non lo ha dimenticato.
Il suo ricordo è vivo a Rivalta e a Tetti Francesi in particolare.
La piazza, questa piazza, che molti anni fa gli abbiamo voluto dedicare e che è il cuore del quartiere, l’amore con cui molti di voi curano questo luogo, la presenza di questa mattina e sono sicuro anche quella che ci assicurerete martedì sera, testimoniano che il sacrificio di Andrea non è stato dimenticato, che lo ricordiamo ancora con affetto e che lui continua ad essere ancora un pezzo importante di questa comunità.
Andrea è morto in una missione di pace a cui il nostro Paese partecipava. Eravamo nel pieno della Seconda Guerra del Golfo e l’ONU invitò tutti gli Stati a contribuire alla rinascita dell’Iraq, favorendo la sicurezza del popolo iracheno e lo sviluppo della nazione.
Se l’Italia può, forse, ritenersi immune da una nuova guerra di massa all’interno dei propri confini, il nostro pensiero in questo momento deve andare ai tanti scenari di guerra ancora aperti nel nostro Pianeta: a quelli noti e che vedono impegnati militari italiani, a quelli che si combattono in Paesi e continenti abbandonati dalle autorità internazionali, ma anche a quelli che seguiamo quotidianamente in televisione e sui giornali, senza mai dimenticare quanto succede nel Mediterraneo, a pochissimi chilometri dalle nostre coste, che se pochi chiamano guerra di sicuro nessuno può definire pace.
Sono ben cinquantacinque le missioni a cui ancora oggi il nostro Paese sotto le insegne dell’ONU o della NATO continua a dare appoggio e supporto: da Gibuti al Burkina Faso, dal Libano alla Somalia. E sono ancora di più gli scenari di guerra a cui assistiamo inermi. L’ultimo, che ha scalzato dalle cronache televisive il conflitto in Ucraina ma non dalla carne viva di quelle popolazioni, è la nuova escalation in Medio Oriente.
Un conflitto che interroga le coscienze di molti di noi, che rimette in discussione vecchie e nuove convinzioni, che ci obbliga ad interrogarci sul bene e sul male, senza, almeno per me, riuscire a trovare una risposta chiara e univoca.
Un conflitto che sta infiammando la terra in cui le tre principali religioni monoteiste hanno le loro radici, la loro culla, il loro fondamento. Come proprio lì non ci si renda conto che le bombe e i morti siano una bestemmia contro Dio è forse la più umiliante bassezza a cui si piega l’umanità.
Ma torniamo per un attimo a quella maledetta mattina del 12 novembre di venti anni fa – perché dobbiamo tenere memoria di quello che è stato – e facciamolo con le parole di uno dei civili rimasto coinvolto nella strage, Aureliano Amadei, un giovane regista italiano che si trovava a Nassiriya per documentare quella strana guerra che ufficialmente nessuno ha mai dichiarato.
Aureliano, anche grazie al sacrificio di Andrea, ha potuto poi raccontare la sua esperienza prima in un libro e poi in un film dal titolo Venti sigarette a Nassirya. Le sigarette sono quelle di un pacchetto che Aureliano non fa in tempo a finire, perché la mattina del 12 novembre si ritrova nel mezzo dell’attentato alla caserma.
Così scrive Aureliano di quei terribili attimi: «La prima cosa che ti arriva è un senso di leggerezza. È scomparso tutto in un istante: la jeep dei carabinieri, lo scintillio del sole sul cofano, i colpi di mitragliatrice che ti fischiavano accanto. L’ultimo fotogramma della tua vita».
Proviamo a pensare a queste parole, immaginiamo la luce e il buio in una frazione di secondo, il silenzio e i colpi di mitra sopra la testa. Scene che noi abbiamo la fortuna di vedere solo in televisione o al cinema.
E se Aureliano ha potuto tramandare questa immagine – ricordiamo con orgoglio anche questo – e perché Andrea ha aperto il fuoco contro il camion degli attentatori che non esplose, come avevano programmato, all’interno della caserma, ma sul cancello di entrata, evitando così una strage di più ampie proporzioni.
Lo ha ricordato ancora in questi giorni un collega di Andrea, il maresciallo Antonio Altavilla, anche lui coinvolto nell’attentato del 12 novembre. Si è salvato, a costo di dolorose ferite, di un anno di interventi e di una lunga convalescenza.
Oggi, dopo il congedo dall’Arma, è tornato a vestire la divisa, anche se non con ruoli operativi e in una intervista a un’emittente di Bisceglie, dove oggi vive, ha detto: «Andrea Filippa ha risposto al fuoco con l’arma di ordinanza, sparando contro il camion e facendo sì che esplodesse prima di entrare nel cortile della caserma»
Anche lui, come Aureliano, porta e porterà per sempre con sé quelle terribili immagini.
Ma non poteva andare diversamente. Mi perdonerete se quest’anno rubo parole di altri ma proprio Monica, in un’intervista di qualche giorno fa all’Eco del Chisone, ci spiega il perché e ci restituisce l’immagine più autentica di Andrea: “Andrea è morto da eroe, racconta Monica a Paolo Polastri, il giornalista che ha raccolto la sua testimonianza. Niente nella vita succede per caso. Chi conosceva Andrea sapeva che lui doveva essere in quel punto, esattamente in quel preciso istante. Era una persona buona e umile ma era anche un grande professionista. E quello era il suo posto, per provare a fermare quel camion bomba ed evitare che il numero delle vittime fosse ancora più alto. Forse avrebbe avuto tutto il tempo per scappare, andare via da quella posizione dove si trovava. Ma non l’ha fatto ed è rimasto lì fino all’ultimo».
Il senso del dovere, il rispetto del proprio compito, lo spirito di squadra sono le caratteristiche che hanno contraddistinto l’Andrea carabiniere, l’Andrea marito, l’Andrea figlio, l’Andrea amico.
Vi ringrazio per l’attenzione che anche quest’anno mi avete voluto dedicare e vi ricordo che martedì mattina alle 9.00 saremo nuovamente al Cimitero di Rivalta con le autorità dei carabinieri e alcune classi della Don Milani, mentre la sera alle 21.00 in Chiesa qui a Tetti Francesi avremo l’onore di avere la Fanfara Lombardia dei Carabinieri che terranno un bellissimo concerto in memoria di Andrea e di tutti i Caduti Militari e Civili nelle missioni internazionali per la pace.
Sergio Muro, 12 novembre 2023

