
Sono passati vent’anni da quando il Parlamento ha istituito il Giorno del Ricordo.
Dal 2004 il 10 febbraio è diventato così, per tutti, un momento di riflessione e di confronto sul dolore inflitto agli italiani dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia durante le drammatiche vicende che hanno interessato il nostro confine orientale negli anni della Seconda Guerra Mondiale.
È alla fine degli Anni Quaranta del secolo scorso che il termine “foiba” esce dai dizionari di geologia – dove significava una cavità carsica con ingresso a strapiombo – e entra nel lessico comune, a indicare le tombe nelle quali i partigiani jugoslavi tra il 1943 e il 1945 hanno seppellito donne e uomini di origine slovena e gli italiani giuliano-dalmati. Spesso i condannati venivano gettati vivi e legati in gruppo all’interno delle cavità.
Gli italiani, per nazionalità e non per colpa individuale, vennero ritenuti colpevoli della politica di italianizzazione condotta dal fascismo e dei crimini contro la popolazione civile compiuti durante la Seconda guerra mondiale.
Non è mai stato possibile stabilire con sicurezza il numero di quei morti: alcune stime parlano di 5.000 persone, altre fonti ipotizzano che le vittime siano state addirittura il doppio.
Fu un episodio di pulizia etnica, a lungo negato per pregiudiziali ideologiche.
Di qui l’importanza della giornata di oggi. «Per decenni – ha detto lo storico torinese Gianni Oliva – la memoria di questi avvenimenti era riservata solamente a chi viveva nella zona vicino al confine. Adesso, almeno una volta all’anno, scuole e istituzioni hanno modo di parlarne». È lo stesso pensiero più volte espresso da Antonio Vatta, presidente della sezione di Torino dell’associazione Venezia Giulia Dalmazia: «gli eventi di quegli anni popolano i nostri sogni, il Giorno del Ricordo deve servire soprattutto ai ragazzi, che poco conoscono la nostra storia».
Ecco perché dallo scorso anno anche la nostra città ha un angolo dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e agli esuli giuliani.
Un segno significativo in questa area verde a testimoniare il dovere morale di non dimenticare il dolore di così tante famiglie e assicurarci che le generazioni future conoscano e comprendano la portata di questa tragedia.
Solo comprendendo le conseguenze dell’odio, dell’intolleranza e dell’estremismo possiamo pensare a un futuro improntato al valore dell’uguaglianza.
La giunta e il consiglio comunale, le istituzioni più vicine ai cittadini hanno il dovere di guardare ai fatti storici con obiettività, per far in modo che ciò che purtroppo è accaduto non accada mai più. Senza cadere in un confronto fazioso o strumentalizzato politicamente.
Le vittime delle foibe possono e devono essere un monito perché le persecuzioni e gli esodi di oggi siano considerati un dramma e non passino sotto silenzio.
Un impegno che ci assumiamo, oggi e domani.
E lo facciamo pensando a un territorio – ha avuto modo di ricordare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – «colmo di ricchezza, di bellezza e di cultura, alimentato proprio dalle sue differenze, che ha subito il destino di veder sorgere sul proprio suolo i simboli agghiaccianti dei totalitarismi: le foibe, il campo di prigionia di Arbe, la risiera di San Sabba».
Rivalta di Torino, 10 febbraio 2024