25 APRILE: VIVA LA REPUBBLICA VIVA LA RESISTENZA!

Un ringraziamento a tutte e tutti voi che questa mattina avete scelto di essere qui con noi a festeggiare il 79esimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Un caloroso benvenuto alla Fanfara dei Bersaglieri Fausto Balbo di Settimo Torinese che con il suo ingresso in piazza ha reso ancora più solenne questo nostro appuntamento.

Un appuntamento che durerà tutto il giorno, con momenti di ricordo e celebrazione in tutti i quartieri di Rivalta. 

Un appuntamento che è stato preceduto da una lunga giornata di eventi promossa lo scorso sabato dall’ANPI, dall’Associazione Intessere, dai nostri Centri Giovani, dall’Associazione Il Filo d’Erba, dalla Pro Loco. La risposta dei rivaltesi, soprattutto da parte dei più giovani, è stata partecipata e piena di passione. Una bella boccata di ossigeno, e anche un po’ di freddo, per tante e tanti cittadini.

Un appuntamento che cade in un momento delicato. In troppe parti del mondo, e anche nel nostro Paese, stiamo assistendo a eventi – più  o meno grandi, più o meno evidenti – che ci fanno pensare, ancora una volta, che la storia non ci abbia insegnato nulla. Il rischio è che il passato, con modalità e forme diverse, possa nuovamente ripresentarsi (è ancora presente in mezzo a noi), il rischio è che il germe dell’odio dell’uomo contro l’uomo non abbia ancora trovato gli anticorpi necessari.

«Bisogna amare l’Italia con orgoglio di europei e con l’austera passione dell’esule in patria». Lo diceva un secolo fa un giovane editore torinese, un uomo di quelli che – ieri come oggi – è giusto e bello definire “con la schiena dritta”.

Piero Gobetti fu tra i primi a vedere nel fascismo l’incarnazione di tutte le insufficienze dell’Italia di inizio Novecento e a combatterlo, con il pensiero e con le parole. Una posizione che gli costò persecuzioni e violenze, fisiche e morali, costringendolo all’esilio a Parigi e a una precoce morte.

Non partecipò alla Resistenza e alla lotta per la Liberazione, ma a lui dobbiamo tante idee e tanti principi che sono alla base dell’antifascismo e dell’Italia libera e repubblicana.

A lui si ispirarono, forse senza neanche saperlo, le azioni delle donne e degli uomini che dopo l’8 settembre del 1943 decisero da che parte stare. 

È successo qui, nella nostra città. 

Sono stati più di cinquanta i rivaltesi che nei lunghi mesi che hanno preceduto il 25 aprile del 1945 hanno dato il loro contributo alla lotta di Liberazione nelle valli del Sangone. I loro nomi sono scritti sui monumenti, sulle targhe, sulle lapidi che qui e in altri luoghi ricordano il loro impegno, il loro coraggio e il loro sacrificio.

E si ispirarono anche all’esempio di Giacomo Matteotti, assassinato da «sicari fascisti» il 10 giugno del 1924. 

Matteotti, da segretario del Partito Socialista, fu uno dei pochi e ultimi uomini delle istituzioni a opporsi alla dittatura. Chiese al parlamento di invalidare l’elezione di un gruppo di deputati del Partito Nazionale Fascista perché viziata, falsata e compromessa da brogli elettorali e violenze.

Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza e assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini.

Venne rapito in pieno giorno, accoltellato e abbandonato nelle campagne vicino a Roma.

Come non vedere delle similitudini con quanto accade in Russia – quella Russia governata da venticinque anni da Vladimir Putin che pure nel nostro Paese aveva e ha tanti estimatori – e in molte altre zone del Sudamerica e del continente africano.

«In questa nostra falsa primavera – scrive Antonio Scurati nel suo monologo che grazie alla censura della RAI è divenuto virale – però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati”.

Il ricordo è dunque un dovere, per rispetto alla storia e alle persone che quella storia, la nostra storia, hanno contribuito a scriverla. 

Da tante parti arrivano segnali di ri-mozione, di ri-scrittura di episodi dolorosi. 

C’è chi troppo spesso dimentica di dire che tra il 1943 e il 1945 nazisti e fascisti repubblichini “insieme” cooperarono nella repressione dei movimenti di resistenza, che fascisti repubblichini e nazisti “insieme” si macchiarono di eccidi e stragi. 

Ce lo ha ricordato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’ultima Giornata della Memoria: «Non si deve mai dimenticare che il nostro Paese, l’Italia, adottò in un clima di complessiva indifferenza le ignobili leggi razziali: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei»

Ecco perché festeggiare la Liberazione, dall’aggressione nazista e dalla dittatura fascista, non può essere solo un esercizio della memoria. 

Ecco perché non è accettabile che sulla televisione pubblica non trovino spazio le parole di intellettuali e scrittori mentre, senza che nessuno si scandalizzi, un Ministro della Repubblica possa additare all’antifascismo la responsabilità di tanti morti negli ultimi anni. 

Oppure che quell’ignobile esproprio chiamato “Oro alla Patria” venga considerato addirittura un gesto patriottico. 

Penso ai tanti partigiani morti ammazzati e ai tanti che ci hanno lasciato in questi ultimi anni, testimoni diretti della violenza e della barbarie commessa dai loro stessi connazionali. 

Non so dove sono, ma ovunque siano mi auguro che non sentano queste parole.

“Mi sembra che gli italiani non abbiano mai fatto i conti fino in fondo con il passato fascista, non abbiano cioè mai assunto collettivamente la tremenda responsabilità di essere stati fascisti, di aver inventato il fascismo e, dunque, in conseguenza di questa mancata elaborazione, mi sembra che quel passato non sia mai stato davvero superato; mi convinco, anzi, che il fascismo resti il grande rimosso della coscienza nazionale.” 

Non sono parole mie, ma sempre di Antonio Scurati. Io non avrei saputo spiegare meglio questa tragica realtà.

Lo dicevamo l’anno scorso. 

Il rischio più grande che il nostro Paese può correre oggi è l’a-fascismo, il tentativo di rimuovere le colpe e quindi rimuovere questa pagina dolorosa e gloriosa dai libri di storia e dai programmi televisivi; di rendere alla fine tutti uguali, tutti colpevoli di qualcosa e quindi nessuno colpevole di nulla. 

Mi sembra che tutto stia continuando ad andare, nel silenzio dei più, proprio in questa direzione.

Oggi, da 79 anni, rinnoviamo l’appuntamento forse più importante del calendario civile dell’Italia. Un appuntamento che non dovrebbe essere divisivo, ma unire tutti. 

Una festa, di piazza e di popolo, di democrazia e di libertà. Una festa che – mai come di questi tempi – deve essere improntata alla pace e alla tolleranza. 

Un valore imprescindibile, la pace, una conquista che a noi italiani è costata centinaia di migliaia di morti.

Un valore irrinunciabile, come la libertà. Di pensiero, di opinione, di parola. Una libertà che i nostri nonni, le nostre nonne, non avevano e per la quale hanno lottato. Senza la Liberazione, senza la pur dolorosa e lancinante esperienza della Resistenza, senza il 25 aprile non ci sarebbe libertà.

Festeggiare e manifestare nelle piazze il 25 aprile – ha scritto recentemente lo storico e accademico Alessandro Porteli – è soprattutto un modo per ricordare a noi stessi la nostra responsabilità, il nostro compito di esercitare, ogni giorno, la sovranità che la Resistenza ci ha conquistato.

viva la Repubblica!

Viva la Resistenza!

Viva l’Italia antifascista!

Sergio Muro, 25 aprile 2024